Bisogna nascondere la luce agli uccelli notturni , perche li acceca e diviene per essi più oscura delle oscure tenebre......... l'uomo attaccato alle proprie idee e che teme di perderle , pauroso di nuove verità e non disposto a dubitare di tutto .. deve uscire subito da questo luogo ... lo capirebbe male e ne rimarrebbe turbato ..


IL MISTERO DEGLI OGGETTI FUORI DAL TEMPO GLI OOPARTS

 gli oggetti fuori dal tempo

Geode "coso"

Questo geode, stranamente senza cavità interne, caratteristica che distingue queste pietre, presenta invece al suo interno una sezione perfettamente circolare di un materiale durissimo.
Il geode sarebbe stato datato ad almeno 500.000 anni fa. Ulteriori osservazioni sulle fotografie e sulle radiografie del reperto rivelarono che l 'oggetto sezionato presentava una parte metallica esagonale, un isolante di materiale che poteva essere ceramica o porcellana con un filo metallico centrale: i principali componenti di "una candela d' accensione" di un moderno motore a scoppio

 Il geode sezionato e visto internamente






UN PROIETTILE CONTRO l’uomo di Neanderthal?

Nel museo di Storia Naturale di Londra si trova un teschio datato circa 38.000 anni fa, periodo Paleolitico, rinvenuto in Zambia nel 1921. Sulla parete sinistra del teschio c’è un foro perfettamente rotondo. Stranamente non ci sono linee radiali attorno al foro o altri segni che indichino sia stato prodotto da un’arma, una freccia o una lancia.Nella parete opposta al foro, il teschio è spaccato e la ricostruzione dei frammenti mostra che il reperto è stato rotto dall’interno verso l’esterno, come si fosse trattato di un colpo di fucile. Esperti forensi dichiarano che non può essere stato nulla di diverso da un colpo esploso ad alta velocità con l’intenzione di uccidere.Chi possedeva un fucile 38.000 anni fa? Certamente non l’uomo delle caverne, ma forse una razza più avanzata e civilizzata.Nel Museo di Paleontologia di Mosca, inoltre, è presente un altro reperto simile, il cranio di un bisonte, rinvenuto a Yakuzia (Siberia) e vissuto dai 30.000 ai 70.000 anni fa, sulla cui fronte è presente un buco circolare.Un altro caso simile viene citato dal giornalista Victor Louis dalla Russia, il quale riferisce che nel Museo di Paleontologia di Mosca si trova un cranio perfettamente conservato di un bisonte dalle lunghe corna rinvenuto nella Yakuzia (Siberia orientale). Secondo i paleontologi tale specie sarebbe vissuta dai 30.000 ai 70.000 anni fa. Al centro della sua fronte è visibile un foro rotondo che, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere stato causato da una pallottola!



Il vaso di Dorchester

Un altro reperto "impossibile" è quello citato da Charles Fort e ritrovato in seguito al brillamento di un massiccio conglomerato di roccia a Dorchester, Massachusetts, nel 1851. Tra i frammenti di roccia generati dall' esplosione, venne individuato un sottile reperto concavo di metallo, accanto al quale ve ne era una ltro del tutto simile. Si scoprì che i pezzi combaciavano perfettamente tra loro a formare un recipiente a campana alto 11,4 centimetri, largo 6,3 centimetri alla sommità e 16,5 centimetri alla base, l' oggetto era spesso 3 millimetri e composto principalmente d' argento. Presso la sommità, dove apparentemente la maniglia si era spezzata, l' oggetto presentava un orifizio di circa 4 centimetri di diametro. Presentava raffinate decorazioni eseguite con un tipo di saldatura.
Il 5 giugno del 1852 la rivista Scientific American pubblicò un articolo che riferiva il ritrovamento d’un piccolo vaso metallico, durante lo sbancamento d’una collina a Boston, in una roccia la cui età, secondo i geologi, è di 320 milioni d’anni.
Questo vaso presenta l’inquietante particolarità d’avere incisi, sulla sua superficie, disegni che riproducono piante estinte del Carbonifero Superiore, cioè la stessa età della roccia in cui il manufatto sarebbe stato eccezionalmente ritrovato.
I fossili di quelle piante, come dimostra l’Autore in questo articolo, erano ancora del tutto sconosciuti all’epoca in cui il vaso apparve.
Ecco qui di seguito, tradotto in italiano, il testo dell’articolo pubblicato il 5 giugno del 1852, in seconda pagina, sul n° 38 di « Scientific American », sotto il titolo Una Reliquia d’una Età scomparsa:
Pochi giorni fa una potente esplosione è stata prodotta nella roccia alla Meeting House Hill, nel quartiere di Dorchester, pochi isolati a sud del luogo d’incontro del Reverendo Signor Hall.
L’esplosione ha prodotto un’immensa quantità di pietrame, alcuni pezzi dal peso di alcune tonnellate, e scagliando piccoli frammenti in tutte le direzioni. Tra di loro è stato raccolto un vaso metallico in due parti, per la frattura provocata dall’esplosione. Rimesse insieme le due parti, questo forma un vaso a forma di campana, alto 11,4 cm, 16,5 cm alla base, 6,3 cm alla sommità e di circa tre millimetri di spessore.
Il corpo di questo vaso assomiglia nel colore allo zinco, o ad una lega metallica in cui c’è una considerevole percentuale d’argento. Sui lati vi sono vi sono 6 figure d’un fiore, o un bouquet, splendidamente intarsiato nell’argento puro, e attorno alla parte bassa del vaso una pergola, o tralcio, intarsiata anch’essa nell’argento.
Il cesello, l’incisione e l’intarsio sono squisitamente eseguiti dall’arte di un abile artigiano.
Questo strano e sconosciuto vaso era saltato fuori dalla dura roccia puddinga, 4,63 mt sotto la superficie.
Adesso è in possesso del Signor John Kettell. Il Dr. J. V. C. Smith, che ha recentemente viaggiato in Oriente, ed ha esaminato centinaia di curiosi utensili domestici, disegnandoli anche, non ha mai visto qualcosa che assomigli a questo. Egli ha fatto un disegno e preso accurate misure di questo, da sottoporre ad esame scientifico.
Non vi è alcun dubbio tuttavia che questa curiosità era saltata fuori dalla roccia, come sopra detto; ma vuole il Professor Agassiz, o qualche altro scienziato, dirci per favore come questo è arrivato lì? L’argomento è degno d’investigazione, in quanto non vi è inganno nel caso.
Quanto sopra proviene dal Transcript di Boston e quello che ci stupisce è come il Transcript può supporre il Prof. Agassiz qualificato a dirci come questo sia giunto lì più di John Doyle, il fabbro ferraio. Non si tratta di una questione di zoologia, botanica o geologia, ma una questione relativa ad un antico vaso metallico, forse fatto da Tuba-Cain, il primo abitante di Dorchester.


La piccola pianta disegnata per 6 volte sui fianchi del vaso ha il fusto tozzo con un verticillo (insieme di foglie inserite allo stesso nodo) ad otto foglie molto strette alla base e via via sempre più larghe, dal tragitto slanciato e curvo. Il margine terminale contiene alcuni denti. Queste parole, che ho appena usato per descrivere la pianta disegnata sul vaso di Dorchester e che si attagliano perfettamente ad essa, sono tratte dalla pag. 69 del III volume del Traité de Paléobotanique di Boureau che ho già citato e sono usate dall’Autore per descrivere uno Sphenophyllum laurae, di cui si può vedere un esemplare fossilizzato nella foto allegata. Una descrizione analoga, con la differenza che il verticillo è a sei foglie, Boureau la fornisce anche per lo Sphenophyllum kidstoni, ed anche di questa pianticella se ne può vedere un esemplare fossilizzato nella relativa foto allegata. Ebbene, per lo Sphenophyllum laurae l’anno di prima pubblicazione è il 1953, mentre per lo Sphenophyllum kidstoni è il 1931 ed appartengono, manco a dirlo, al Carbonifero superiore, cioè a 320 milioni di anni fa.
Come si può vedere dalle foto allegate, che recano la misura di riferimento di un centimetro, si tratta di piantine veramente piccole, delle stesse dimensioni, per esempio, d’un piccolo trifoglio. Nel vaso di Dorchester lo Sphenophyllum è riprodotto in scala 2:1, cioè ingrandito del doppio rispetto alle dimensioni reali di questa pianta.
I ramoscelli con piccole foglioline che decorano il resto del vaso sono anch’essi abbastanza rari e non sono molte le piante fossili vicine a loro come forma; anzi, a dire il vero di fossili di questo genere ne esiste uno solo: è lo Sphenopteris goldenbergi, la cui foto allegata rappresenta un esemplare proveniente dal bacino carbonifero della Sarre, nella Westfalia, e che è stato pubblicato per la prima volta nel 1869. Dunque, ancora una volta, una pianta scoperta in epoca SUCCESSIVA a quella della scoperta del vaso e, ancora una volta, proveniente dal Carbonifero superiore.
Non solo. Anche in questa pianta la misura di riferimento del centimetro-campione ci fa capire che anche lo Sphenopteris goldenbergi è riprodotto in scala 2:1, e quindi risulta ingrandito, nel vaso, nella stessa misura dello Sphenophyllum, cioè due volte.
Anche in questo caso si tratta dunque d’una pianta le cui foglioline sono davvero di piccole dimensioni, paragonabili a quelle del nostro origano, cioè di qualche millimetro ciascuna. Naturalmente i fossili imprigionati nelle lastre di carbone non ci possono dare anche gli aromi di queste piante estinte, se mai esse ne avessero posseduto qualcuno.
Ebbene, possono due sole piccole foglioline, incise sulla superficie d’uno sconosciuto metallo, con la loro ineliminabile presenza sconvolgere dalle fondamenta le nostre più radicate certezze riguardo alla presenza, su questo pianeta, in un’epoca che sprofonda in abissi inimmaginabili di tempo, di esseri evoluti almeno quanto lo siamo noi oggi? Certo non esiste una relazione evidente tra il terreno - con l’età che abbiamo accertato - su cui sorge la città di Boston ed il ritrovamento del vaso di Dorchester.
Questo vaso, in teoria, potrebbe essere stato portato fin lì pure dalla Cina e buttato poi nel pietrame un attimo prima che arrivassero gli operai a ripulire il terreno.
Il fatto poi che si tratti d’un oggetto unico al mondo non è di per sé significativo, anche se qualcosa di certo significa.
Tutti i più importanti musei sono pieni di pezzi unici. Al "Metropolitan Museum of Art di New York", ad esempio, c’è una zuccheriera in platino realizzata dal gioielliere personale di Luigi XVI, Marc Étienne Janety, in un unico esemplare. L’arte e l’abilità di questo artigiano erano tali che persino il nuovo governo rivoluzionario si fermò davanti a lui: non solo, infatti, Janety non seguì la sorte del suo sovrano, ma addirittura ricevette importanti, e storiche, commesse da parte dei nuovi padroni della Francia. Il metro ed il chilogrammo campione infatti, entrambi in platino, furono realizzati da lui nel 1795 su incarico d’una apposita Commissione.
L’autore d’un vaso di pregiata fattura come il vaso di Dorchester, invece, è completamente sconosciuto. Un simile, abile e straordinario artigiano non solo avrebbe creato in tutta la sua vita un unico, incredibile oggetto, ma nessuno avrebbe mai sentito parlare di lui.
Potrebbe, questa sconosciuta ma secolare persona, aver raffigurato qualche pianta rara ma esistente?
Ovviamente è la prima cosa che ho pensato, così mi sono recato negli uffici dell’Orto botanico di Bergamo ed ho parlato con il Direttore, consegnandogli ovviamente una foto del vaso. Costui, persona assai garbata e cortese, è rimasto per lunghi minuti in silenzio a guardare ciò che io gli avevo indicato. Sembrava molto concentrato ed io pensavo "Ci siamo! Finalmente saprò qualcosa", ma dopo un po’ mi ha detto che non si trattava di una pianta esistente, indicandomi anche i tralci con le foglioline ai lati della figura centrale come qualcosa di non attualmente esistente. Dopodiché, senza perdere la sua iniziale cortesia, mi ha anche detto che non poteva dirmi altro, dal momento che lui è un botanico, e non un paleobotanico. A quel punto la strada delle mie ulteriori ricerche era tracciata. Quando, nel salutarci, mi ha augurato buon lavoro, ho inteso questa frase come il segno che le mie ricerche non sarebbero state vane. E così è stato. Ho ritrovato quelle piante nei testi che raccolgono i cataloghi delle piante estinte.
Dunque c’è un’altra cosa ancora più sconcertante: se fosse esistita una simile persona, intendo dire nell’arco di Storia a noi noto dell’Uomo, allora questa persona avrebbe dovuto avere, oltre alle straordinarie capacità metallurgiche e le singolari qualità artistiche - uniche in tutto il mondo - che abbiamo visto, anche il dono della profezia. Le incisioni sul vaso, infatti, riproducono piante estinte del carbonifero superiore che, all’epoca della scoperta del vaso, erano del tutto sconosciute.
È vero che esistevano, già fin dal ’700, ampi trattati sulla flora del Carbonifero, dal momento che dalle miniere di carbone dell’Europa centrale e dell’Inghilterra venivano estratti in abbondanza reperti fossili di piante esistite in quell’era geologica. Erano, tuttavia, poveramente illustrati, come dice Henry Andrews jr., nel suo "Ancient plants and the world they lived in" (New York 1964). L’Autore aggiunge anche (pag. 232):

«Uno dei primi veri contributi alla flora del Carbonifero della Gran Bretagna fu il libro di Edmund T. Artis "Fitologia antidiluviana", pubblicato nel 1838. Le illustrazioni sono d’una qualità distintamente superiore a quella dei suoi predecessori ed il libro è citato come referenza ai nostri giorni per ciò che concerne le piante del Carbonifero.»

Ora nello stesso anno di pubblicazione del bel libro di Henry Andrews jr. uscì anche il "Traité de Paléobotanique", un’opera monumentale in 9 volumi, pubblicato sotto la direzione di Édouard Boureau (Parigi, 1964), sono riportate le figure e le foto di tutti i ritrovamenti di piante estinte di cui finora si ha conoscenza, e per ciascuna di esse è citata la referenza della fonte bibliografica. Il trattato di Boureau riporta le piante scoperte e pubblicate nel XIX secolo, come ad esempio lo "Sphenophyllum verticillatum" di cui è citata la sua prima pubblicazione nel 1820, e così via fino alle ultime come lo "Sphenophyllum lescurianum" di cui è citata la pubblicazione nel 1897. Ebbene, nessuna delle piante pubblicate nella prima metà del XIX secolo ha qualcosa a che vedere con le piante incise sul vaso di Dorchester.
Un professore della Scuola Antropologica di Parigi, Vayson de Pradenne, scrisse nel lontano 1925 un libro, "Fraudes Archéologiques", in cui diceva (naturalmente io non so a chi si riferiva negli anni ‘20 il de Pradenne, lo cito solo perché a me interessa il concetto generale, non l’esempio specifico. È evidente che io non intendo, e non posso, criticare metodi di lavoro di persone che non conosco):

«Uno studioso può immaginare, per esempio, che la legge del progresso nelle manifatture preistoriche si debba palesare dovunque e sempre, fin nei minimi particolari. Osservando la presenza simultanea, in un deposito, di utensili ben lavorati e di altri più rozzi, stabilisce che debbano esistere due livelli. Le ere più lontane producono utensili più rudimentali...
Se in uno strato più basso trova un esemplare ben rifinito sosterrà che vi è penetrato accidentalmente, e che tale esemplare deve essere reintegrato con il sito delle sue origini ed assegnato al gruppo di oggetti appartenenti al livello superiore. Finirà per commettere degli effettivi falsi nella presentazione stratigrafica dei reperti: un imbroglio messo in atto a sostegno di un’idea preconcetta, ma portato a termine più a meno inconsciamente, commesso da un uomo in buona fede che nessuno definirà un truffatore.
Tale situazione s’incontra spesso, e se non faccio nomi, non è certo perché non conosco nessuno che si sia macchiato di questa colpa.»

Quello che a me interessa sottolineare è che tanti comportamenti, piccoli o grandi, isolati o no, tesi a "filtrare" la conoscenza, sommati tra loro producono un effetto enorme, che è quello di distorcere la visione del mondo in una determinata direzione piuttosto che in un altra e tutto questo avviene nella più assoluta buona fede e sincerità degli studiosi che compiono atti inconsci di manipolazione.
Norman Malcom, in un libro intitolato e dedicato al suo maestro, "Ludwig Wittgenstein" (Bompiani, Milano 1964), cita le parole del grande filosofo austriaco quando criticava l’empirismo spicciolo del filosofo inglese Edward George Moore. Sono parole splendide, che costituiscono per ognuno di noi un’immensa lezione di vita e di pensiero. Esse sono le seguenti:

«Moore vorrebbe guardare una casa lontana soltanto sei metri e dire con una particolare intonazione: "So che c’è una casa!". Con questo vuol far nascere in se stesso la sensazione di conoscere. Vuole esibire a se stesso il conoscere per certo. [...] Il criterio per stabilire la verità dell’asserzione: "so questo e questo ancora" è rappresentato dal fatto che egli dice di saperlo...
Le proposizioni di Moore - "so che sono un essere umano", "so che la Terra esiste da molti anni", ecc. - hanno la caratteristica che è impossibile pensare a circostanze in cui dovremmo ammettere di avere prove contro di esse.
Ma quando i filosofi scettici dicono "tu non sai" e Moore risponde "io invece so", la sua risposta è del tutto inutile, a meno che non intenda assicurare loro che lui, Moore, non ha alcun dubbio. Ma non è questo il problema...
Dire: "io so" quando si tratta di dati dei sensi ... non aggiunge nulla ... e vi è una stretta analogia tra alcune asserzioni esperienziali e le asserzioni matematiche ... e cioè il fatto che l’esperienza futura non fornirà ragioni per respingerle (due più due sarà uguale a quattro anche tra un milione di anni, per cui certamente la matematica è preternaturale, viene prima della natura e la informa; è con la matematica Dio ha creato il mondo)...
Dubbio, fede, certezza - al pari dei sentimenti, del dolore, delle emozioni - hanno caratteristiche espressioni facciali.
La conoscenza non ha un’espressione facciale caratteristica.
Può esistere un tono di convinzione o di dubbio, ma non esiste un tono di conoscenza.»

Io sono convinto che la Scienza è lo strumento che Dio ci ha dato per spezzare le catene che ci legano alla storia della Terra, non per rinsaldarle, perché saremo costretti un giorno ad andarcene via anche da questo pianeta e, quando verrà il momento, dovremo ben essere capaci di farlo, dovremo ben essere capaci di ascoltare le parole degli angeli.



Aerei nell' antichita'

In Colombia, nella Valle del Cauca, vennero ritrovati alcuni artefatti appartenenti alla cultura Calima (l° secolo a.C. - ll° secolo d.C.), e tra questi alcune miniature, scoperte trent' anni fa dall' archeologo Alan Landsburg ed oggi ammirabili in diversi musei del mondo. Vengono definite dagli archeologi "Colganti Zoomorfi" vale a dire "composizioni aventi forma animale" o identificate con stilizzazioni di pappagalli o pesci.E' evidente che in comune con questi animali hanno ben poco. Per molte di queste il viso addirittura appare umanizzato, e nessuna mostra il becco tipico di un uccello.
La maggior parte di queste miniature è esposta al Museo dell' Oro di Bogotà, presso la Banca Nazionale della Colombia, Al Museo Britannico di Londra, ed allo Smithsonian Institute di Washington.Tutte le miniature misurano poco più di 5 centimetri e sono tra gli artefatti precolombiani più stupefacenti al mondo. Infatti, sebbene gli esperti di culture ispaniche li identifichino come oggetti di culto dalla forma animale, la loro aerodinamicità è sorprendentemente analoga a quella dei moderni jet con ali a delta.Può sembrare incredibile ma questa caratteristica è stata verificata da ingegneri aeronautici che ne hanno comprovato l' attitudine al volo.Queste miniature furono dapprima oggetto di attenzione da parte di Ivan Sanderson, biologo, archeologo e scrittore, che per primo notò il loro aspetto "tecnologico". Successivamente l' ingegnere tedesco J.A. Ulrich, pilota di jet, dedusse che l' artefatto riproduceva perfettamente un caccia a reazione SAAB F-104, appena entrato, a quei tempi, in dotazione all' Aeronautica svedese. Anche un ufficiale tedesco, tenente Peter Belting, si interessò alle miniature riproducendo una di queste in scala 1:16 con materiale di schiuma per valutarne l' aerodinamicità, dotandolo di un motore elettrico e radiocomando. Le prove eseguite sul modellino hanno dimostrato che si trattava di un aereo manovrabile e dotato di un' eccellente stabilità nel volo a vela. Gli spagnoli Romàn Molla, Justo Miranda e Paula Mercado hanno ricostruito modelli in scala di questi piccoli monili, e sottoponendoli alla galleria del vento ed a programmi di simulazioni di volo, confermarono che le miniature erano perfettamente aerodinamiche ed adatte al volo. A questo punto ci si chiede come sia possibile che popolazioni vissute circa 2000 anni fa fossero a conoscenza di tecnologie tipiche della nostra epoca. Avevano visto qualcosa che riprodussero in un "Culto Cargo" (culto legato ad oggetti tecnologici divinizzati) oppure replicarono il ricordo mitizzato di macchine appartenute ad epoche precedenti ed a una cultura evoluta scomparsa?
Questa tecnologia suggerita dalle miniature può trovare riscontro nei miti dei popoli amerindi. Nel New Mexico, il più antico ed enigmatico ceppo razziale preispanico, gli Hopi, dichiariano di essere il primo popolo ad avere occupato le terre del Nuovo Continente dopo il diluvio che rappresentò la fine dell' era precedene (la terza, per gli Hopi. Attualmente saremmo alla fine della quarta) ed hanno conservato per millenni le loro tradizioni orali.
Ecco cosa ci dicono gli Hopi riguardo a quell' epoca scomparsa: "I sopravvissuti alla seconda purificazione uscirono in superficie e diedero vita al terzo mondo. L' umanità ebbe un' altra possibilità. Seguendo la parola del Grande Spirito, gli uomini si moltiplicarono sino a formare una complessa civiltà che edificò grandi città e sviluppò una scienza complessa, ma utilizzata a fini bellici in una guerra di sopraffazione. Con i loro velivoli, chiamati "Patuwvotas", gli uomini superavano grandi distanze e aggredivano i nemici. L' umanità aveva di nuovo abbandonato la via della pace. Allora il Grande Spirito volle punire gli uomini e diede ordine alla Donna Ragno di metter in salvo i più meritevoli su imbarcazioni impermeabili (un' analogia con l' arca di Noè). Sulla terra si riversarono gigantechi marosi e le città ed i continenti sprofondarono nel mare. Fu così che la terza umanità fu annientata da un diluvio".
Gli Hopi, come tutte le culture mondiali, serbano memoria di uno spaventoso diluvio che cancellò una civiltà che in questo caso viene descritta come tecnologicamente avanzata. I Patuwvotas descritti dagli Hopi sono le stesse macchine che hanno originato il culto di cui i modellini aurei dei Calima sono la testimonianza?
Le descrizioni tecnologiche dei patuwvotas possono inoltre ricollegarsi ai "Vimana" della letteratura vedica, apparecchi volanti che nei testi sanscriti vengono descritti con termini scientifici inequivocabilmente moderni.

Il Meccanismo di Antikytera


Il giorno di Pasqua del 1900 un battello per la raccolta delle spugne fu sbattuto da una tempesta contro l'isoletta rocciosa di Antikytera. Quando il mare si fu calmato, il capitano Kondos fece effettuare delle immersioni per la ricerca di spugne. A 60 metri di profondità i sommozzatori trovarono il relitto di una nave del I secolo: conteneva statue di bronzo e di marmo, originali vasi azzurri e attrezzi vari. Uno fra i vari reperti venne esaminato dall'archeologo Valerios Stais, il quale si ritrovò fra le mani un complicato meccanismo con un comando a ingranaggi molto complesso, che doveva funzionare come un rotismo differenziale. L'insieme di questo meccanismo constava di circa 40 ruote dentate, nove scale regolabili e tre assi su un piano di supporto. Le scale una volta decifrate non hanno fatto che accrescere l'enigmaticità del reperto.


Nel 1951 il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il meccanismo esaminando minuziosamente gli oggetti e riuscendo, dopo circa vent'anni di ricerca, a riassemblare i pezzi ed a scoprire lo scopo del congegno. Risultò essere un computer per calcolare i calendari solare e lunare. Le varie ruote riproducevano il rapporto di 254:19, per ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole, tenendo in considerazione il fatto che la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari.
Probabilmente, il congegno faceva parte del carico e non serviva d'ausilio per la navigazione. Se questa fosse la vera funzione del meccanismo di Antikytera, ci fornirebbe conferma ad accenni letterari che indicavano esperimenti, di scienziati greci di quell'epoca, su macchine astronomiche. Ad esempio, Cicerone scrisse che il filosofo Posidonio aveva realizzato un globo che mostrava i moti del Sole, delle stelle e dei pianeti come appaiono in cielo. Egli annotò anche che Archimede aveva concepito un modello che imitava i movimenti dei corpi celesti.
Una recente analisi, basata su dettagliate scansioni ai raggi-X del meccanismo, fatta da Michael Wright, curatore dell Istituto di Ingegneria meccanica al Museo delle Scienza di Londra, ha portato all'individuazione dell'esatta posizione di ogni ingranaggio. Tutto questo ha portato a pensare che Price avrebbe sbagliato una serie di osservazioni e che avesse manipolato il numero dei denti degli ingranaggi che erano incompleti.
Wright ha trovato prove che il meccanismo di Antikythera sarebbe stato in grado di riprodurre accuratamente il moto del sole e della luna, usando un modello epiciclico elaborato da Ipparco, e dei pianeti Mercurio e Venere, usando un modello epiciclico elaborato da Apollonio di Perga. Ha inoltre dichiarato che il meccanismo deve essere stato costruito mediante l'ausilio di antichi attrezzi, anche se la realizzazione di una ruota metallica dentata implica l'utilizzo di lame sofisticate ed un altissima abilità.

Se solo si pensa che i primi calendari ad ingranaggi, simili ma meno complessi di quello di Antikytera, furono realizzati a partire dal 1050 d.C., bisogna rivedere il nostro pensiero sull'antica tecnologia greca.


La Mappa di Piri Re'is

Il 9 novembre 1929, il direttore dei musei nazionali turchi, Halil Etem Eldem scoprì, facendo l' inventario di quanto era conservato nel famoso Topkapi, l' antico palazzo imperiale di Istambul adibito a museo, un frammento di una carta geografica della Terra con 24 iscrizioni, redatte in turco, una delle quali precisa l' identità dell' autore: "Questa carta è stata disegnata da Piri Re'is Ibn Aji Mehmed, nipote di Kemal Re'is, a Gelibolu (Gallipoli) nel mese di Moharrem dell' anno 919 (tra il 9 marzo ed il 7 aprile 1513)".Il personaggio citato, letteralmente, come "Piri, ammiraglio, figlio del pellegrino Mehmed" è pù conosciuto col nome di Piri Reis. Discendente da una famiglia di illustri navigatori turchi, fu nominato ammiraglio dopo aver partecipato alle battaglie di Modon e di Lepanto e poi elevato al rango di comandante in capo della marina egiziana. Considerato erroneamente un pirata da alcuni storici europei, l 'ammiraglio Reis era, in realtà, un navigatore ed un condottiero colto ed intelligente. Conoscendo e parlando perfettamente il greco, lo spagnolo, il portoghese e l' italiano, ebbe la possibilità di consultare, nel loro insieme, le mappe esistenti a quell' epoca. Potè così stendere, operando una sintesi di tute le conoscenze geografiche del suo tempo, due carte del mondo, una nel 1513 (quella che ci interessa), l' altra nel 1528. Autore di poemi e di varie opere, è soprattutto conosciuto dai navigatori del suo paese per il "Kitabi Bahriye" (Il libro della marina), un volume di memorie che è un vero e proprio trattato sulla navigazione nelle acque del Mediterraneo, comprendente 207 carte disegnate dallo stesso Piri Reis. Trattando diversi argomenti, il "Kitabi Bahriye" stabilisce la verità storica sull' avventura di Colombo, dicendoci come il navigatore genovese non abbia scoperto l' America, ma l' abbia solo riscoperta, conoscendone già l' esistenza prima di esservi stato e dirigendovisi a colpo sicuro. Tanto è confermato da una lettera di Bartolomeo, fratello di Cristoforo. Ma dove attinse quest' ultimo queste nozioni? Da un documento databile ai tempi di Alessandro Magno, asserisce l' ammiraglio turco, annoverando tra coloro che approdarono al di là dell' Atlantico i Vichinghi, San Brandano, il portoghese Nicolas Giuvan, Antonio il Genovese ed altri ancora.Così scrive Piri Reis nel capitolo dedicato al "Mare Occidentale" (il nome dato per lungo tempo all' Oceano Atlantico):" Un infedele, di nome Colombo, originario di Genova, fu colui che scoprì quelle terre. Nelle mani del suddetto era capitato un libro, ed egli vi lesse che al di là del Mare Occidentale, ad ovest, c' erano coste ed isole, e metalli e pietre preziose di ogni genere". Più avanti, Piri Reis afferma che si era trattenuto a lungo con un marinaio di Colombo, catturato da suo zio Kemal Reis: egli, divenuto schiavo,confessò di possedere una mappa che gli era stata donata dal navigatore genovese e che sarebbe servita poi parzialmente a Piri Reis per la stesura delle sue carte. E' ancora lo schiavo che fornisce all' ammiraglio una notizia molto interessante sugli abitanti delle terre scoperte:" Gli abitanti di quest' isola videro che non correvano alcun pericolo da parte delle nostre navi: così, preso del pesce, ce lo portarono con le loro imbarcazioni. Gli spagnoli furono contentissimi e regalarono agli indigeni piccoli oggetti di vetro, perché Colombo aveva letto nel suo libro che a quelle genti piacevano molto".Quanto alla sua documentazione, Reis scrive:"Questa sezione mostra come è stata disegnata la carta. Attualmente nessuno possiede una carta come questa, da me tracciata ed ora completata. L' ho tratta da una ventina di carte e dalle "Mappe Mundi" (sono carte disegnate ai tempi di Alessandro, signore dei Due Corni, che mostrano le parti abitate del mondo: gli Arabi le chiamano "Djaferye"); da otto djaferye di questo genere e da una carta araba dell' Hind; da carte di recente disegnate da quattro portoghesi, che mostrano i paesi dell' Hind, del Sind e della Cina disegnati geometricamente; e da una carta della regione occidentale disegnata da Colombo. Riducendole tutte alla stessa scala, sono arrivato alla forma finale: la presente carta è tanto corretta e sicura per i sette mari quanto la carta dei nostri paesi è ritenuta corretta e sicura dai marinai".Che cosa intendeva Piri Reis per "carte disegnate ai tempi di Alessandro"? Con tale espressione voleva indicare mappe stese da contemporanei del grande conquistatore o si riferiva a quelle di Alessandria, conservate nella più famosa biblioteca del mondo antico e forse miracolosamente scampate all' incendio ordinato da Giulio Cesare?Nessun cartografo dell' antichità, da Eratostene (275?-194 a.c.) a Claudio Tolomeo (II secolo d.C.), a Marino di Tiro (pure del II secolo), a Pomponio Mela (I secolo), ha rappresentato, nei lavori che ci sono pervenuti, l' America e l' Antartide. Invece una prima occhiata alla carta a colori di Piri reis, realizzata su una pelle di gazzella di 85x 60 centimetri, permette di constatare che essa comprende le coste occidentali dell' Africa e dell' Europa, da Capo Palmas a Brest, comprese le isole nell' Atlantico Settentrionale e certe dell' Atlantico Meridionale, Cuba e le isole dei Caraibi, la costa atlantica dell' America Meridionale, da Capo Frio su a nord, fino all' Amazzonia, e l' isola di Maracà, due isole misteriose e sconosciute, una delle quali è chiamata Antilla, mentre l' altra si estende in una zona in cui, ai giorni nostri, esistono solo i piccollissimi isolotti rocciosi di Saint-Pierre e Saint-Paul, una parte della catena delle Ande, la costa orientale inferiore dell' America del Sud, da Bahia Blanca a Capo Horn, le isole Shetland meridionali, le isole Falkland, una parte del continente antartico, tra cui la Terra della Regina Maud. Aggiungiamo che, tra le numerose illustrazioni e miniature che ornano questa carta, sono riprodotti un lama ed un puma nella parte raffigurante l' America Meridionale.


Pila di Bagdad

Nel 1930 un ingegnere tedesco di nome William Koenig ricevette, dal governo iracheno, l’incarico di ristrutturare il sistema fognario del Museo Iracheno di Antichità a Baghda’d.
Durante l’esecuzione dei lavori, nelle cantine del museo, rinvenne accidentalmente una cassa di legno contenente numerosi reperti non ancora classificati ma temporaneamente catalogati come "oggetti di culto", tra i quali vi erano anche alcuni misteriosi manufatti, alti 15 cm, che si rivelarono essere, almeno secondo quanto riportato dalle fonti documentarie, vere e proprie pile elettriche ante-litteram, risalenti alla dinastia dei Sassanidi (226-630 d.C.). Otto anni più tardi, nel 1938, una di queste presunte pile venne acquistata dall’Università della Pennsylvania ed al termine di meticolose indagini, i ricercatori furono costretti, loro malgrado, a riconoscere che il reperto in loro possesso era a tutti gli effetti una rudimentale pila che impiegava il ferro, il rame, un elettrolito e l’asfalto come materiale isolante.
In una delle teche nel museo di Baghda’d, sarebbe attualmente esposta una di queste presunte pile, a quanto pare ancora in grado di sviluppare una differenza di potenziale elettrico pari a 1,5 volt, secondo alcune fonti o 0,5 volt, secondo altre.
Ritengo sia corretto a questo punto riportare anche un’altra versione della vicenda inerente il ritrovamento della pila di Baghda’d, versione secondo cui nel Giugno del 1936, nei pressi della capitale irachena, venne rinvenuta, durante i lavori di costruzione di una ferrovia, un’antica tomba coperta da una lastra di pietra, all’interno della quale un’équipe di archeologi del Museo Iracheno di Antichità scoprì ben 613 reperti risalenti al periodo dei Parti (248 a.C. - 226 d.C.).
Tra monili, statuette e mattonelle scolpite, l’attenzione dei ricercatori venne richiamata da un oggetto inusitato costituito da un cilindro di rame ed una barra di ferro. Il misterioso reperto venne sottoposto all’attenzione dell’archeologo tedesco William Koenig, il quale ipotizzò che fosse una sorta di rudimentale ma ancora funzionante accumulatore di energia elettrica, vale a dire una pila. Koenig riferì anche che il manufatto presentava forti similitudini con altri reperti archeologici portati alla luce in varie località dell’Irak.
Al momento del ritrovamento, la presunta pila era composta da un vaso di terracotta contenente un cilindro, a sua volta costituito da una lamina di rame saldata con una lega di stagno al 60% e provvisto di un disco di rame fissato sul fondo ed isolato con del bitume mentre la parte superiore era chiusa da una sorta di tappo da cui sporgeva un tondino di ferro.
Nel 1940, l’ingegnere statunitense Willard Gray realizzò un modello funzionante della pila di Baghda’d, utilizzando solfato di rame come elettrolito ed ottenendo in questo modo una corrente elettrica. All’epoca in cui le pile vennero presumibilmente realizzate, si sarebbe potuto impiegare, "in locum" del solfato di rame, l’acido acetico, ricavabile dal vino o anche l’acido citrico, estraibile dagli agrumi.
Koenig ipotizzò che questi oggetti fossero implicati in un procedimento elettrochimico finalizzato a placcare d’oro i vasi ornamentali, un vero e proprio processo di galvanostegia (1).
Inutile sottolineare che questa teoria è duramente contestata dalla scienza ufficiale, la quale non accetta di prendere in considerazione, neanche per un istante, la sia pur remota possibilità che l’elettricità sia stata "scoperta" circa 2000 anni fa, sebbene, anche in ambito accademico, vi siano alcuni ricercatori che dissentono dalla linea di pensiero istituzionale, come ad esempio il fisico Walter Winton, il quale, nel 1962, ebbe la rara opportunità di esaminare la pila di Baghda’d. Il suo atteggiamento iniziale fu di totale scetticismo e di diniego ma non appena poté disporre del reperto e lo ebbe analizzato scrupolosamente, realizzò di avere tra le mani l’antesignano di un moderno accumulatore di energia elettrica.
Al termine dell’esame Winton dichiarò: "È poi del resto così inconcepibile la conoscenza pratica della corrente elettrica in quel periodo? Io sono certo che l’abilità dei popoli primitivi sia largamente sottovalutata. Forse è incredibile solo per coloro che non vogliono crederlo; e l’arrogante presunzione di avere scoperto la scienza moderna ci rende restii ad ammettere che anche i nostri antenati mesopotamici, duemila anni fa, conoscessero gli effetti della corrente elettrica".
Secondo quanto riportato nel libro "Terra senza tempo", del celebre scrittore Peter Kolosimo, le ricerche avviate a seguito del ritrovamento della presunta pila di Baghda’d consentirono di venire a conoscenza dell’esistenza di un’antica quanto misteriosa setta segreta, il cui compito era stato quello di custodire gelosamente i segreti dell’elettricità in generale e della galvanoplastica (2) in particolare. Sempre secondo quanto riportato nel libro di Kolosimo, pochi chilometri a sud della capitale irachena, furono portati alla luce altri accumulatori elettrici ancora più antichi, risalenti ad almeno 3-4000 anni fa.
È interessante notare, inoltre, come, fin dalla più remota antichità, le donne siriane si servissero di fusi d’ambra, i quali, secondo F. De Agostini, "girando si sfregavano agli abiti delle filatrici e attiravano pagliuzze, fili e foglie"; tale fenomeno di generazione di carica elettrostatica ha dato origine al vocabolo "elettrico", che, difatti, deriva dal termine greco "elektron" che indicava appunto l’ambra (3).
Purtroppo la vicenda che ruota attorno al rinvenimento della pila di Baghda’d è piuttosto controversa e confusa, a tal punto che qualcuno è arrivato addirittura a dubitare del fatto che simili manufatti siano mai esistiti e che la celebre pila di Baghda’d sia esposta al pubblico nel Museo Iracheno di Antichità, tuttavia, qualora tale reperto esistesse realmente e ne venisse attestata l’autenticità storica, l’archeologia ortodossa sarebbe costretta a retrodatare la "scoperta" dell’elettricità ed il suo utilizzo di 2000 anni mentre gli editori dei libri scolastici sarebbero obbligati a riscrivere i testi di storia!




LE LAMPADE DI DENDERA

Scoperte verso la metà dell' 800 da Auguste Mariette, fondatore del Museo Egizio del Cairo, le cripte di Dendera offrirono ai loro scopritori numerosissimi bassorilievi di pregiata fattura, raffiguranti, secondo gli archeologi, scene di rituali religiosi.Sulla maggior parte di questi si notano infatti scene di processioni, ma un bassorilievo in particolare, denominato "pietra delle serpi", oltretutto l' unico che si può ancora ammirare nell' unica cripta lasciata aperta ai visitatori dopo che nel 1973, vi si verificarono dei furti, suscita ad un occhio attento molte perplessità sia sull 'interpretazione data dagli archeologi sia su quello che l' autore dei bassorilievi volesse rappresentare.La familiarità dei manufatti raffigurati in queste incisioni non può non farci riflettere.Nel bassorilievo in questione si notano due figure che sorreggono due enormi "ampolle" che assomigliano molto a potenti lampade elettriche, con cavi a treccia attaccati a quello che potrebbe essere un interruttore o un generatore. Da notare che questo generatore ha la classica forma di uno "Djed", oggetto rinvenuto in molti disegni e bassorilievi egizi, ma di cui non si è ancora potuto accertare con certezza la funzione. Alcune ipotesi lo indicano come un "generatore di vita", nel senso forse religioso del termine.llustri studiosi, davanti a queste rappresentazioni, hanno provato stupore poichè mai avevano ammirato nulla di simile. Alcuni sostengono appunto si tratti di enormi lampade elettriche che proverebbero l' uso, da parte degli egizi, di fonti luminose. Anche se appare incredibile contemplare un' ipotesi simile non bisogna dimenticare le considerazioni di studiosi come R. Habeck e P. Krassa secondo cui i rilievi riprodurrebbero processi elettrotecnici. Queste ipotesi sono state avanzate dai citati studiosi sui brani trasposti da un altro eminente ricercatore, il dott. Waitkus, che ha tentato di decifrare i geroglifici delle cripte.Gli antichi egizi conoscevano forse la corrente elettrica? Od erano solo custodi di tecnologie che loro non comprendevano, ma che avevano imparato ad usare da chi le aveva inventate, forse millenni prima?Questo, come altri misteri legati ai grandi monumenti della Piana di Giza, sarà forse svelato quando tutte le camere nascoste delle piramidi e della sfinge saranno aperte per mostrarci il loro contenuto. Qui allora tutte le ipotesi e le congetture troveranno conferma o saranno demolite.Sempre che non ci venga nascosto qualcosa...


MARTELLO DI LONDON




Un altro reperto, di cui però si hanno pochissime notizie, è il "martello di London", rinvenuto in TexasQuesto oggetto fu rinvenuto in un blocco di arenaria datato 140 milioni di anni Nel giugno 1934, a Londra (Texas,Kimball Country). La signora Emma Hahn , è in gita con la propria famiglia, diretta alla funivia di Llano. Nei pressi di una cascata d’acqua, il gruppetto si imbatte in un masso, che si evidenzia su di una roccia più grande. Fuori dal masso si erge un pezzo di legno. La famiglia si ferma con stupita curiosità, e presa dall’eccitazione incomincia a liberare il legno, quando tra la sorpresa scopre che esso è il manico di un martello.Ma tutto ciò non era possibile, perché quella roccia doveva avere milioni di anni, ed il martello era stato incluso nella roccia in un’era nella quale, secondo le attuali conoscenze, sulla terra non aveva ancora fatto la sua comparsa l’uomo. Questo singolare Martello è esposto oggi nel Creation Evidence Museum a Glen Rose, nel Texas; la sua testa è lunga circa 15 centimetri ed ha un diametro di 3. Il manico in legno è parzialmente carbonizzato all’interno, mentre l’esterno risulta fossilizzato, come se fosse stato esposto prima ad un fuoco intenso e successivamente immerso a lungo nell’acqua. Secondo il direttore del museo Carl Baugh, il reperto è stato ritrovato inglobato in una formazione di arenaria che ha un’età compresa fra i 140 ed i 65 milioni di anni, che risale quindi al cretaceo. 1989 al Battelle-Institut a Columbus, Ohio, ne ha rilevato la composizione: 96% di ferro, 2,6% di cloro e 0,74 di zolfo. Il metallo. Quindi sarebbe straordinariamente puro, non presenta alcuna bolla d’aria ed è di una qualità che oggi siamo in grado di ottenere con sofisticati sistemi di produzione.Dure diatribe sono avvenute tra esperti, Dave Matson,in una pubblicazione del 1994 descrive il martello come un prodotto costruito nel XIX secolo e la formazione rocciosa nel quale era incluso, sarebbe ordoviciana, e quindi appena vecchia di quasi 450 milioni di anni, al contrario di Baugh che la riteneva “calcarea” del cretaceo. Per Matson la concrezione del minerale sarebbe autentica, pur se non nella forma originaria( il minerale sarebbe ordoviciano, ma la cristallizzazione attorno al martello sarebbe successiva). Infatti analogamente alle stalattiti , che inglobano oggetti durante la loro formazione, anche i minerali disciolti possono cristallizzarsi attorno ad un oggetto che si trova in una fenditura od in un terreno a meno che non venga “disturbato” da agenti esterni, e che la roccia che lo circonda sia chimicamente solubile. La velocità con la quale si formano le concrezioni dipende dalla nitratina( un terreno calcareo).La concrezione rocciosa quindi secondo Matson , si sarebbe sviluppata in breve tempo, e si sarebbe basato per questa sua interpretazione, su i informazioni raccolte su pubblicazioni specialistiche. Ma è proprio questo aspetto, secondo quanto afferma il geologo Johannes Fiebag, a rendere piuttosto ambigue e vacillanti le sue interpretazioni, infatti Matson tralascia di citare il tipo di roccia che ingloba il martello: se calcare, arenaria o scisto silicioso;e non è certo che ritratti di roccia ordoviciana piuttosto che arenaria del cretaceo, insomma basterebbe un’analisi della roccia , ma chi se la sente di scoprire che è roccia arenaria con le conseguenze che comporta ciò, relativamente alla datazione del martello, come al solito è meglio e più sicuro per le carriere non indagare.

SFERE METALLICHE

Negli anni passati i minatori del Sudafrica hanno ritrovato centinaia di sfere metalliche con 3 incisioni parallele, lungo l'equatore delle sfere. Le sfere sono di due tipi: "...uno di metallo bluastro con punti bianchi, e un altro di sfere cave riempite nel centro di un materiale elastico" (Jimison 1982). Roelf Marx, sovrintendente del Museo di Klerksdorp, in Sudafrica, dove sono conservate alcune sfere, ha dichiarato: "Le sfere sono un completo mistero. Esse sembrano lavorate dall'uomo, ma risalgono ad un'epoca in cui, secondo la storia della Terra, non esisteva alcuna forma di vita intelligente. Questi reperti sono qualche cosa che non ho mai visto prima" (Jimison 1982). In una lettera datata 12 settembre 1984, Roelf Marx fornisce ulteriori informazioni sulle misteriose sfere: "Non è stato pubblicato alcuno studio scentifico sulle sfere, ma i fatti sono chiari. Esse furono trovate nella pirofilite, scavata vicino a Ottosdal, nel Transvaal occidentale. Questa pirofilite (Al2Si4O10(OH)2) è un minerale secondario, abbastanza tenero, calcolato a 3 punti della Scala di Mohs, formatosi dalle sedimentazioni circa 2,8 miliardi di anni fa. D'altra parte le sfere, che hanno una struttura fibrosa all'interno ed un guscio esterno, sono molto dure e non è possibile scalfirle nemmeno con una punta d'acciaio. La Scala di durezza di Mohs è così chiamata dal nome di Friedrich Mohs, che scelse 10 minerali come punti di riferimento per le prove comparative di durezza, usando il talco come grado 1 ed il diamante come grado 10. Nella sua lettera, Marx dichiarò che A. Bisschoff, un professore di geologia all'Università di Potchefstroom, disse che le sfere erano una "concrezione di limonite". La limonite è un tipo di minerale ferroso. Una concrezione è una massa avvolgente e compatta di roccia, formata dalla cementazione localizzata intorno ad un nucleo. Un primo problema, in apparente contrasto con l'ipotesi della limonite, riguarda proprio la loro durezza. Come abbiamo anticipato, le sfere metalliche non possono essere scalfite da una punta d'acciaio, indicando quindi un'estrema durezza. Ma i riferimenti standard della limonite indicano da 4 a 5,5 gradi della Scala di Mohs, vale a dire un basso grado di durezza (Kourmisky 1977). Inoltre le concrezioni di limonite normalmente si presentano in gruppi, come bolle di sapone attaccate l'una all'altra e, ovviamente, prive delle scanalature orizzontali. In assenza di spiegazioni soddisfacenti, le prove raccolte lasciano intendere che siamo di fronte a qualcosa di misterioso, lasciando aperta la possibilità che le sfere del Sudafrica, trovate in un deposito precambriano vecchio di 2,8 miliardi di anni, siano state lavorate da un essere intelligente

LOCOMOTIVA PRECOLOMBIANA 

Questo è un vero 'rompicapo di ceramica'che proviene dalle rovine di un villaggio nei pressi dell'altopiano NAZCA,appartenuto ad una civiltà o tribù nota come 'il popolo di VICUS',che produsse una certa varietà di vasi dalle forme di uccelli,animali,pesci ed esseri umani. Un popolo semplice,che si dedicava alla tessitura e al vasellame ma questo oggetto cosa poteva loro servire? E'lungo 20 cm e rappresenta un rullo compressore del XX secolo,completo di tubo di scappamento nella parte anteriore e di cabina in quella posteriore,con tanto di guidatore seduto ai comandi! Il tutto, per una cultura che ignorava la ruota, è davvero sconcertante! Il reperto è stato autenticato dal più autorevole museo di Arte Pre-Colombiana negli Stai Uniti e datato con certezza a non più tardi del 300 a.C.

Femore di Toxodonte
che presenta una punta di lancia o di freccia incastrata nell'osso. E' stato scoperto in una formazione del Pliocene in Argentina.





TUBI FOSSILI

Una delle tre caverne ai piedi del monte Baigong, che si trova nel cuore del Qaidam Basin, provincia di Qinghai, Cina. Due di esse sono crollate e sono inaccessibili. Quella centrale è la più grande, con il soffitto che si trova a due metri dal pavimento e che raggiunge gli otto metri nel punto più alto. La caverna è profonda circa sei metri, un po' come una grotta scavata da esseri umani, che contiene all'interno pura sabbia e roccia. Quello che è sorprendente è che dentro c'è un mezzo tubo di 40 centimetri di diametro che pende dall'alto fino all'estremità più interna della caverna. Un altro tubo dello stesso diametro penetra nel terreno e di esso è visibile solo l'estremità superiore. All'ingresso della grotta c'è una dozzina di tubi con diametri tra i 10 e i 40 centimetri che penetrano dritti nel monte, mostrando un'alta tecnica di fissaggio. A circa 80 metri dalla caverna c'è il luccicante lago di Toson, sulla cui spiaggia 40 metri più in là si possono trovare molti tubi di ferro disseminati sulla sabbia e sulle rocce. Sono disposti in direzione est-ovest con un diametro tra i 2 e i 4,5 centimetri. Hanno molte strane forme e il più sottile è come uno stuzzicadenti, ma non bloccato all'interno dopo anni di movimento della sabbia. Più strano è il fatto che ci sono dei tubi anche nel lago, alcuni che fuoriescono dalla superficie dell'acqua ed altri che giacciono al di sotto, che hanno forme e spessore simili a quelli sulla spiaggia. L'alto contenuto di biossido di silicio e di ossido di calcio è il risultato di una lunga interazione tra il ferro e la sabbia, ciò significa che i tubi sono molto antichi. Sono conosciuti dalla gente del posto come "i relitti degli extraterrestri".

Conchiglia
 lavorata con volto umano rudimentale, eppure riconoscibile, inciso sulla superficie esterna. Da quanto riportato nel 1881 dal geologo H. Stopes al British Association for the Advancement of Science questa conchiglia della formazione Red Crag, in Inghilterra, del Pliocene, risale ad oltre due milioni di anni.






DITO FOSSILE

Oggetto recentemente trovato tra vecchie collezioni di fossili sull'isola di Axel Heiberg nell'Artico canadese, molto al di sopra del circolo antartico. Sembra essere un "dito umano fossilizzato", non dissimile da quelli precedentemente trovati in strati del Cretaceo in Texas dal Dr. Carl Baugh del Museo delle Testimonianze del Cretaceo. L'età di questo nuovo fossile è stimata tra circa 100 e 110 milioni di anni fa, anche dall'era geologica che gli evoluzionisti chiamano "Periodo Cretaceo". Il reperto è conosciuto con il nome "DM93-083". La vista laterale ai raggi X mostra aree scure che sono interpretate come le parti interne delle ossa e del midollo. Queste aree hanno minore densità delle pietre circostanti, e quindi sono più facilmente attraversate dai raggi X, causando lo scurirsi dell'immagine.

Mano fossile

mano umana ritrovata a Bogotà (Colombia), appartenente alla collezione Gutierrez. La roccia che la contiene ha un'età di 100-130 milioni di anni.




HOVERCRAFT?
Questo sarebbe un flauto,conservato presso il Museo de Young di San Francisco ma come non notare la somiglianza con un Hovercraft di tipo GEM,ovvero Ground Effect Machine(macchine effetto suolo con pilota,nel riquadro)?E'lungo circa 30 cm,fu rinvenuto a Vera Cruz, Messico.Può essere associato alla figura sotto

L'oggetto di AJUD 

A 50 km a sud di Cluj-Napoca, città universitaria ed ex-capitale della Transilvania, proprio nel centro della Romania, a 2 km ad est di Aiud (una cittadina di circa 30.000 abitanti, geograficamente a 23°45’ di longitudine est e 46°25’ di latitudine nord), in una cava di sabbia alle rive del fiume Mures, un gruppo di operai portò alla luce nella primavera dell’anno 1974 tre piccoli strani oggetti. Tali oggetti si trovavano nel sedimento sabbioso del fiume a una profondità di 10 m. Gli operai consegnarono i reperti al loro responsabile e questo li fece vedere a un ricercatore locale, che informò l’Istituto Archeologico di Cluj-Napoca.
Gli archeologi dell’istituto li hanno ripuliti e constatato che uno degli oggetti era un osso degli arti e un altro un molare di un giovane mastodonte, un archeo-elefante che ha vissuto fra il Miocene (circa 20 milioni di anni fa) e il medio Pleistocene (circa 1 milione di anni fa).
Le rocce di questa parte della Romania risalgono al periodo del Pleistocene e Miocene e i sedimenti alluvionali all’ultimo milione d’anni.
Il terzo oggetto sembrava essere una scure di pietra, però dopo aver tolto la grossa crosta di sabbia dalla sua superficie, si è rivelato invece un oggetto metallico.
Il reperto è lungo 20,2 cm, largo 12,7 cm, alto 7 cm e presenta nel centro un incavo circolare, un foro di 4 cm di diametro. Questo incavo con una deformazione ovale in basso ha una forma tale come se avesse contenuto qualcosa, forse un’asta con una estremità sferica. Un altro foro più piccolo, di diametro 1,7 cm e perpendicolare al primo, esce sul fianco "posteriore" del misterioso oggetto. Questo fianco nonché i due fianchi laterali presentano tracce tali da far pensare che possano essere state ottenute in seguito a fortissimi colpi. Ciò ci fa ritenere che l’oggetto poteva essere parte di un sistema tecnico funzionale.
Che significato potevano avere però le due sporgenze a forma di alette all’estremità del reperto?
Tutto diventò davvero inquietante quando si prese la decisione di effettuare un’analisi dettagliata presso l’"Istituto per le Ricerche dei Minerali e Metalli Non Ferrosi" (ICMMN) a Turnu Magurele, una città situata a sud-ovest di Bucarest, sul Danubio, vicino alla frontiera bulgara.
L’analisi metallurgica effettuata da Dr. I. Niederkorn ha rivelato che l’oggetto in discussione era composto di una lega estremamente complessa di vari elementi e cioè:

89%    Al    alluminio
6,2%    Cu    rame
2,8%    Si    silicio
1,8%    Zn    zinco
0,4%    Pb    piombo
0,3%    Sn    stagno
0,2%    Zr    zirconio
0,1%    Cd    cadmio

Vi erano poi piccole parti nell’ordine di millesimi di percento di nichel (Ni), cobalto (Co), bismuto (Bi), argento (Ag) e tracce di gallio (Ga).
L’oggetto era composto in gran parte di alluminio (89%), un metallo spesso trovato in natura però soltanto in forma non pura, bensì allo stato di bauxite.
L’alluminio è stato scoperto nel 1825 di H. C. Oerstred e prodotto per la prima volta in modo industriale in Francia nel 1854. Per la produzione dell’alluminio si necessita di un complicato processo industriale, l’elettrolisi, e temperature di oltre 900°C.
Alluminio puro è stato ricavato per la prima volta nel 1920, mediante il noto processo galvanico basato sulla decomposizione della bauxite in un bagno elettrolitico e la deposizione dell’alluminio puro all’anodo. Dato che si tratta di un metallo leggero, abbastanza molle, si utilizza spesso in lega con altri metalli come rame, zinco, magnesio, cadmio e anche con silicio, per ottenere la durezza e la resistenza chimica necessaria allo scopo dell’applicazione.
Oggi non esiste quasi nessun settore tecnico che non utilizzi in un modo o in un altro l’alluminio.
Strano il fatto che la particolare lega trovata nell’oggetto misterioso di Aiud non è mai stata adoperata da nessuno finora.
L’oggetto era ricoperto di uno strato d’ossido d’alluminio spesso 1 mm.
L’alluminio si ricopre all’aria rapidamente di una pellicola d’ossido spessa solo alcuni millesimi di mm che lo protegge dall’ossidazione (assimilazione di ossigeno) e in questo modo lo rende estremamente resistente alla corrosione.
Come è possibile che l’oggetto di Aiud sia ricoperto di uno strato d’ossido d’alluminio così spesso (1 mm)?
Sarebbe possibile soltanto se si trattasse di un oggetto vecchissimo, cioè di un oggetto di decine di migliaia d’anni di età.
"Sembra che provenga dalla stessa epoca storica del mastodonte. - rileva il Dr. Niederkorn, che ha effettuato l’analisi metallurgica - È incredibile, però sembra che si tratti d’alluminio di struttura talmente vecchia che gli elementi componenti la lega hanno cominciato a distaccarsi e a riprendere addirittura le loro proprie strutture cristalline originarie".
Certo è che l’oggetto di Aiud non può essere un oggetto naturale; è indiscutibilmente un oggetto artificiale, un oggetto prodotto da qualcuno.
A che serviva?
Gli ingegneri hanno cercato di dargli una spiegazione più o meno logica: potrebbe trattarsi forse, infatti, di una specie di sede, ovvero di un piede per il supporto di un eventuale struttura tecnico-meccanica.
A titolo di curiosità va detto che supporti abbastanza simili vengono utilizzati oggi per l’atterraggio di moderne sonde spaziali. Forse si tratta solo di una coincidenza.
Comunque, al di là delle coincidenze fra questo reperto e l’odierna tecnologia umana, è un fatto che l’oggetto di Aiud denota indiscutibilmente un qualche tipo di tecnologia assolutamente ingiustificabile per il contesto storico in cui è stato ritrovato ed è l’evidente indizio di una civiltà ignota, atta a sviluppare manufatti meccanici, verosimilmente risalente ad epoche in cui nulla del genere avrebbe mai dovuto esistere nel nostro mondo.
Una simile tecnologia potrebbe ricollegarsi soltanto a una civiltà avanzata spazzata via da cataclismi di portata planetaria ovvero di origine estranea al pianeta Terra.
Comunque sia, il misterioso oggetto di Aiud resta un’altra maglia della catena di artefatti trovati sulla nostra Terra che non hanno o non avranno mai una spiegazione soddisfacente.

Pestello

con mortaio in pietra,trovato a oltre 60 metri sotto la superficie e sotto uno strato di lava solidificata.Fu trovato da J.H.Neale,sovrintendente della Montezuma Tunnel Company nel Table Mountaine di Tuolumne,California.Il pezzo fu rinvenuto in un tunnel ORIZZONTALE che penetrava all'interno di giacimenti del Terziario(33-55 milioni di aa. fa).Fu escluso che il pestello avesse potuto cadere dall'alto. In una miniera della stessa zona fu ritrovato anche un pezzo di cranio umano fossilizzato e nello stesso Tavoliere,furono molti altri i reperti 'anomali'rinvenuti

ALIANTE DI SAQQARA

Quando venne tratto alla luce, nel 1898 (cinque anni prima dell' impresa dei fratelli Wright), in una tomba di Saqqara, nessuno avrebbe potuto ovviamente stabilire un legame tra esso ed il volo umano.
Solo nel 1969 il dott. Khalil Messiha,medico oltre che stimato archeologo,lo "riscoprì", esposto al Museo Egizio del Cairo, e rimase stupefatto della sua somiglianza con un aereo moderno (dopo questa scoperta, l' oggetto fu rimosso dalla teca dove era conservato e nessuno sa dove sia finito). Si tratta di un oggetto di legno che, secondo i suoi primi scopritori, rappresenterebbe un uccello stilizzato.
Ma il suo aspetto è da considerarsi anomalo per ricordare un uccello, infatti le sue ali sono diritte, il piano di coda rialzato ed il corpo centrale lavorato in modo aerodinamico. Il reperto, che consisteva di due parti (una specie di fusoliera ed una sola coppia di ali che si incastrava perfettamente in una scanalatura della prima) era lungo 14 centimetri con un' apertura alare di 18 centimetri ed aveva poche decorazioni, se si eccettuano occhi simbolici ed una corta riga sotto le ali. E non vi è traccia di zampe.Un gruppo di esperti di archeologia e di aeronautica si mise a studiare il reperto, notando la struttura e la curvatura delle ali, indispensabili alla stabilità di un mezzo volante, e avanzando l' ipotesi che l 'oggetto fosse un modellino di aereo. Qualcuno affermò trattarsi di un aliante per il trasporto di carichi. Tali considerazioni indussero ad ulteriori ricerche, le quali portarono al rinvenimento di oltre una dozzina di raffigurazioni analoghe

DISCHI DI BAIAN-KARA-ULA

1937: la scoperta
durante una spedizione nell’impervia area di Baian-Kara-Ula, una catena montuosa che corre lungo il confine Cinese/Tibetano, l’archeologo Chi Pu Tei scoprì diverse cave all’interno delle quali furono rinvenuti scheletri che presentavano strane caratteristiche. Il cranio era enormemente grande rispetto al resto del corpo e l’altezza media si aggirava attorno a 4 piedi e 4 pollici (1 piede=33 cm circa; 1 pollice=2,54 cm).
Ma la particolarità della scoperta, oltre agli scheletri, consisteva nel rinvenimento di dischi di pietra (diametro di circa 1 piede con uno spessore di circa 1/3 di pollice) sui quali era incisa una sorta di antica e sconosciuta scrittura. Chi Pu Tei trasse le sue conclusioni: gli scheletri appartenevano ad una specie di gorilla di montagna mentre i dischi erano stati abbandonati da una cultura primitiva. Il professore fu ridicolizzato dalla comunità archeologica cinese per le sue conclusioni.
1947: spedizione del Dr. Karyl Robin-Evans
Subito dopo la II Guerra Mondiale, il prof. Lolladoff, polacco, mostrò allo scienziato inglese Dr. Karyl Robin-Evans un misterioso disco di pietra. Lolladoff disse di averlo acquistato in Mossorie (nel nord dell’India) e che la credenza popolare voleva il disco proveniente da una misteriosa popolazione chiamata "DZOPA" che lo utilizzava per rituali religiosi.
Nel 1947 il Dr. Robin-evans partì per una spedizione, che aveva come scopo l’esplorazione di quella che doveva essere stata la terra degli "DZOPA", passando per Lhasa (Tibet) dove gli fu garantita una udienza con il 14th Dalai Lama. Dopo un avventuroso viaggio e dopo essere stato abbandonato dai portatori tibetani, che temevano la zona, arrivò finalmente l’incontro con una popolazione locale. Vinta l’iniziale diffidenza verso lo straniero, al dr. Evans fu assegnato un "insegnante " in modo da poter apprendere i primi rudimenti per poter comunicare ed iniziare così a capire gli usi e costumi di questa etnia. Il suo maestro fu Lurgan-La religioso guardiano dei "DZOPA".
Lurgan-La riferì all’esploratore che la sua gente proveniva originariamente da un pianeta situato nel sistema di Sirio.
I visitatori vennero sulla Terra due volte: la prima circa 20000 anni fa e la seconda nel 1014 a.C. La seconda esplorazione ebbe risvolti tragici perché ci fu un crash dell’astronave e i sopravvissuti dovettero desistere dal far ritorno a casa.
Il Dr. Kelly Robin-Evans morì nel 1974. Il rapporto sopra citato fu publicato nel 1978

I titanici Box del Serapeum di Saqqara

Si tratta di 21 enormi box in granito che si trovano all'interno di alcuni tunnel, ognuno dei quali pesa circa 100 tonnellate compreso l'enorme coperchio.
I sarcofagi in granito sono lunghi 4 metri, larghi piu' di 2 metri e alti 3,35 metri. Sono installati in alcune "cripte" scavate nel letto di roccia calcarea, ad intervalli regolari lungo i cunicoli.
Il pavimento delle cripte si trova circa 1 metro al di sotto di quello dei tunnel e le casse sono situate in una nicchia nel centro.
Queste enormi casse sono situate in uno spazio ristretto , specie nell'ultima cripta, che si trova presso la fine del cunicolo: una strada senza uscita dove non c'era assolutamente spazio per le ipotetiche centinaia di schiavi che tiravano le funi (secondo le teorie proposte da chi ipotizza che quella degli antichi costruttori di piramidi fosse una società primitiva).
La superficie esterna ed interna della cassa è perfettamente piana e tutti gli angoli interni presentano un a elevatissima precisione di lavorazione; cosi pure le superfici di contratto coperchio/sarcofago sono perfettamente liscie e piane garantendo una tenuta stagna.
L'ipotesi piu' logica è che questi sarcofagi sono stati lavorati all'interno dei tunnel per ottenere la massima precisione di finitura. Non sarebbe stato possibile ottenere una simile precisione lavorandoli all'aperto, dove gli sbalzi termici sono notevoli e quindi soggetti a deformazioni termiche.
Resta misterioso il perchè volere raggiungere una tale precisione costruttiva ; inoltre ci si chiede con quali strumenti abbiano realizzato tali opere, considerando che sarebbe un'impresa difficile e costosa anche con le tecnologie attuali.

LA NAVICELLA DI TOPRAKKALE

Un’espressione idiomatica che gli archeologi e in particolare gli studiosi di archeologia misteriosa e di paleoastronautica utilizzano per designare tutti quegli oggetti di comprovata natura artificiale che, nonostante siano stati rinvenuti in siti archeologici risalenti ad epoche antiche ed in corrispondenza di scavi di datazione certa, presentano nondimeno, inesplicabilmente, peculiarità morfologiche, strutturali e talvolta anche funzionali tali da presupporre un background culturale di carattere scientifico-tecnologico estremamente più avanzato rispetto al livello cognitivo che l’archeologia e la storiografia ortodossa ufficialmente attribuiscono alla civiltà che li avrebbe realizzati.
Tra i tanti oggetti anacronistici del tipo menzionato sopra e rinvenuti fino ad ora, ve ne è uno non particolarmente noto, a nostro parere meritevole di essere portato all’attenzione del lettore e in grado di suscitare perplessità anche tra gli scettici.
Mi riferisco ad una statuetta in argilla risalente ad oltre 3000 anni fa, portata alla luce durante alcuni scavi nel sito archeologico di Toprakkale - l’antica Tuspa - in Turchia ed attualmente custodita in una teca del Museo Archeologico di Istanbul.
La notizia del ritrovamento del manufatto venne data dalla stampa di informazione slovena il 29 Novembre 1995.
L’oggetto in questione ha una lunghezza di circa 22 cm, una larghezza di 7.5 cm ed un’altezza di 8 cm, è cuneiforme e l’estremità anteriore, acuminata ed affusolata, presenta un profondo solco. La sezione centrale della statuetta è caratterizzata da uno spazio sagomato all’interno del quale siede una figura umana, la cui testa è stata rimossa per cause ignote ma di cui è possibile apprezzare sia il busto che gli arti superiori ed inferiori.
La figura antropomorfa sembra indossare un paio di stivali ed un bizzarro abito caratterizzato da una successione continua di irregolari sporgenze curvilinee, indumento la cui foggia ricorda fin troppo da vicino quella della tute spaziali utilizzate dai cosmonauti sovietici nel corso delle prime missioni esplorative dello spazio extra-atmosferico circumterrestre.
Nonostante la figura umana risulti parzialmente danneggiata, è possibile distinguere, sotto il mento, alcune formazioni in rilievo, che gli studiosi di paleoastronautica hanno associato a dei tubi di respirazione.
La terza sezione del manufatto è ancora più sconcertante in quanto presenta una struttura che ricorda una sorta di ghiera, da cui emergono tre formazioni coniche estremamente somiglianti ad ugelli di scarico posteriori.
Nel complesso la morfologia della "navicella" di Toprakkale, come è stata soprannominata dagli studiosi di archeologia misteriosa e di paleoastronautica, è talmente somigliante a quella di un moderno razzo vettore monoposto pilotato da un astronauta che per un istante viene da dimenticarsi che gli artefici di questo manufatto sono vissuti più di 3000 anni fa!
L’enigmatico reperto di Toprakkale, come accennato sopra, è tuttora custodito nel Museo Archeologico di Istanbul ma non è mai stato esposto al pubblico. Secondo quanto riferito dal direttore del museo, difatti, la sua autenticità non sarebbe stata ancora del tutto dimostrata e a suo dire esporre un reperto archeologico dai connotati morfo-strutturali fortemente anacronistici e di cui non sia stata incontrovertibilmente e assolutamente attestata l’autenticità potrebbe minare alle fondamenta la credibilità di un’istituzione culturale governativa, suscitando in questo modo una pioggia di critiche da parte della scienza ufficiale di tutto il mondo.
Questo imbarazzato atteggiamento di estrema cautela in una istituzione ufficiale statale della capitale turca è ben comprensibile, dunque. Certo è che, qualora gli archeologi turchi dovessero confermare in via definitiva la presunta datazione di 3000 anni, l’esistenza di questo manufatto costituirebbe in ogni caso un duro colpo per l’archeologia ortodossa, ed il mondo accademico si troverebbe di fronte ad un nuovo rompicapo storico-archeologico la cui natura anacronistica lo costringerebbe ad una rilettura e forse anche ad una completa rivisitazione della storia dell’uomo

VINLAND, LA MAPPA DEI MISTERI

Secondo molti studiosi la mappa di Vinland sarebbe la prima prova storica a documentare una esplorazione delle americhe ad opera dei Vichinghi, prima della scoperta di Colombo.
La mappa di Vinland è un disegno apparentemente di epoca medioevale (28x41cm.) che descrive il mondo conosciuto (Europa, Asia e Africa) insieme a quella che sembrerebbe essere la costa atlantica dell’America Settentrionale, ma identificata nella mappa come un’isola. Per decenni gruppi di studiosi si sono tenacemente combattuti alla ricerca di prove che potessero attestare, o negare la validità delle informazioni ivi contenute.
La mappa fece la sua prima apparizione sul mercato antiquario negli anni ’50 del secolo scorso, venendo donata poco dopo alla Biblioteca dell’Università di Yale. Una volta acquisita da questa prestigiosa università, la cartina venne subito consegnata in mano a studiosi ed esperti per essere periziata e studiata. Dopo lunghi ed elaborati studi la mappa avrebbe oggi finalmente una datazione precisa, il 1434 d.C.
Questo strano disegno, valutato 20 milioni di dollari, risulterebbe quindi di 60 anni anteriore alla scoperta di Colombo e la prova che il Nuovo Mondo sarebbe stato visitato "prima" della sua "scoperta ufficiale". Questo è quanto emerge dagli studi condotti dallo Smithsonian Institution, dall’Università dell’Arizona e del Brookheaven National Laboratory.
Concordi nei loro esiti, e pubblicati nell’ultimo numero di Radiocarbon (la più eminente rivista sulla datazione al Carbonio 14), per alcune settimane si è ritenuto di essere finalmente giunti ad una attestazione definitiva sulla veridicità della mappa. Il team di ricercatori ha compiuto le proprie analisi attraverso uno spettrometro di massa, messo a disposizione dall’Università dell’Arizona, a Tucson, ottenendo così una datazione al Carbonio 14 estremamente precisa, essendo lo scarto medio dell’errore sulla data non superiore ad una decina di anni.
I dati ottenuti dal consorzio di laboratori sono stati però, dopo poche settimane, sottoposti ad un nuovo riesame dovuto agli esiti di altre analisi condotte in Inghilterra.
Nel versante opposto dell’Oceano infatti un team di studiosi, presso l’University College di Londra, ha sottoposto al mondo accademico il frutto delle proprie ricerche, discordi rispetto a quanto ottenuto in America. Gli inglesi affermano che le analisi ottenute da campioni di inchiostro, utilizzato nella mappa comproverebbero che la stessa costituirebbe un clamoroso falso storico.
I risultati ottenuti dal team londinese sono stati pubblicati sulla nota rivista "Analytical Chemistry", l’organo ufficiale dell’"American Chemical Society". Due pareri contrastanti che sembrano ricondurci nel limbo che per molti anni ha oscurato questa misteriosa carta.
Una annosa disputa riconducibile alla sua scoperta negli anni ’50, e mai conclusasi definitivamente.
Quando la mappa venne alla luce, venne ritrovata assieme ad un manoscritto, non contemporaneo alla stessa, la "Historia Tartarum". Tra le varie storie presenti in questo codice ne troviamo una molto curiosa che ci racconta la storia di due vichinghi approdati in una terra sconosciuta ricca di vitigni, che venne denominata Vinlandia.
Molte interpretazioni hanno ricondotto questa mitica terra del racconto alle coste settentrionali americane.
Il manoscritto e la mappa vennero acquistati nel 1958 da un certo Paul Mellon che li donò, poco tempo dopo, all’Università di Yale. Nel 1965 Yale produsse uno studio in cui si attestava l’autenticità della mappa e del documento, sia dal punto storico che cartografico. Le diatribe però non si conclusero mai definitivamente e i chimici, insoddisfatti di quei risultati, produssero nel corso degli anni numerosi studi cercando di dimostrare come l’inchiostro utilizzato per la mappa contenesse delle sostanze rinvenibili solamente negli inchiostri moderni.
Quanto è stato fatto dal team londinese sembra però andare oltre la rilevazione di sostanze non presenti nel XV secolo. L’articolo pubblicato su "Analytical Chemistry", afferma che l’alone giallognolo prodotto abitualmente dall’invecchiamento dell’inchiostro, nella mappa sarebbe in realtà il prodotto di sostanze diverse da quelle presenti nella china stessa, prova irrefutabile quindi secondo i ricercatori di una frode perpetuata ad arte.
I ricercatori americani, dal canto loro, controbattono i dati londinesi affermando che la datazione al Carbonio 14 è diventata oggi estremamente affidabile e che quindi nessun errore può essere stato commesso durante le loro analisi. Se da una parte questa disputa non sembra ancora trovare una conclusione anche il mondo accademico, da ormai cinquanta anni si combatte sulla veridicità o la falsità della mappa.
Team differenti, ma entrambi con le migliori strumentazioni disponibili, non sembrano essere giunti a conclusioni univoche.
Dovremmo forse capire quali potessero essere le abilità dei falsari degli anni ’50 per capire quali potessero essere i loro limiti e le loro possibilità?
O forse dovremmo capire se una carta antica possa essere stata utilizzata per la creazione di un falso di proporzioni storiche?
Vera o falsa che sia, la mappa ha comunque aperto un dibattito che in cinquant’anni non ha trovato ancora una conclusione.
A distanza di pochi giorni dalla pubblicazione dei risultati inglesi ed americani, nuovi dettagli sono venuti alla luce, ad opera di una giornalista inglese, sulla possibile origine della mappa. Secondo "The Sunday Times", del 4 Agosto 2002, sarebbe stato un Gesuita austriaco a creare la mappa Vinland. Padre Joseph Fischer, morto nel ’44 a 86 anni, secondo la ricercatrice Kirsten Seaver sarebbe stato il reale artefice della mappa.
Frutto di una mistificazione perpetuata 70 anni fa, Padre Fischer si sarebbe servito di una pagina strappata da un volume del 1440 per creare una delle più abili mistificazioni della storia. Padre Fischer, sempre secondo la ricercatrice, avrebbe "costruito" la mappa in preda ad una profonda depressione, dopo la sfiducia di alcuni accademici suoi rivali, avvenuta nel 1934. Tante teorie, e tante prove, per un documento che continua a richiamare intorno a se l’attenzione di studiosi e di ricercatori.
Forse non potremmo mai avere prove certe dell’autenticità della mappa o di una sua origine mistificatoria, fatto sta che grazie a questa disputa è stato riaperto un annoso dibattito per molti decenni tenuto sopito.
Qualcuno è mai arrivato in America prima di Colombo?
Oggi esistono pochi dubbi sulla possibilità che prima di Colombo qualcuno possa essersi avventurato nel Nuovo Mondo.
Le carte dei Fratelli Zeno, la famosa mappa di Piri Reis, la "Universalis Cosmographiae" (che sconvolse tutte le cognizione geografiche della sua epoca), e molte altre carte ci presentano scenari differenti rispetto a quelle che furono le conoscenze geografiche di quei periodi. Si è spesso parlato di una conoscenza tramandata segretamente nei secoli su di una misteriosa terra d’oltreoceano.
Secondo alcuni ricercatori (quali Louis Charpentier e Steven Sora) anche il misterioso Ordine dei Cavalieri Templari, secondo diverse tradizioni, sarebbe riuscito ad arrivare nella costa occidentale dell’America prima che Colombo la scoprisse.
A riprova di tali affermazioni i due studiosi, come altri, citano diverse fonti che potrebbero comprovare le loro asserzioni. Nel New England esiste infatti una torre che la tradizione vuole esistere già prima che si stanziassero in quelle zone i primi emigranti. Costruzione che nella sua struttura e conformazione si richiama molto allo stile architettonico utilizzato dai cavalieri Templari.
Esiste anche una pietra di considerevoli proporzioni in cui è stato scolpito un cavaliere tipicamente crociato, con una croce che sembra rassomigliare molto a quelle templari.
Quali conseguenze potremmo trarre da questi dati?
Potremmo effettivamente trovarci davanti ad insediamenti europei precedenti alla scoperta di Colombo. Molte ricerche tenderebbero ad attestarci tali speculazioni, ma nostro ma grado fino ad oggi non sono state rinvenute prove significative di una presenza di tale ordine nel continente americano.
In Italia Ruggero Marino ("Cristoforo Colombo ed il Papa Tradito", edizioni RTM - Roma 1997) da ormai svariati anni, sta conducendo un’incessante ricerca sul mistero che circonda Colombo e la sua spedizione.
È possibile ipotizzare che Colombo avesse consultato, o ottenuto, delle mappe estremamente dettagliate e che queste fossero state la base per la sua spedizione? (Cfr. "La Cosmographie Introductio del 1507. Ovvero Un castello di Carte… Geografiche" - di Claudio Piani, Archeomisteri, Nov.-Dic. 2002).
Sappiamo dalle fonti storiche che in Portogallo Enrico il Navigatore riuscì a creare la più importante ed imponente biblioteca nautica mai conosciuta prima del suo tempo.
Quali mappe fecero parte di questo tesoro?
Dai dati in nostro possesso potremmo effettivamente ipotizzare che mappe molto dettagliate abbiano fatto parte di tale biblioteca, mappe che in alcuni casi non avrebbero dovuto esistere. La ricerca compiuta da studiosi come Marino potrebbe condurci verso nuovi scenari storicamente forse molto più plausibili.
Una recente conversazione con il ricercatore spagnolo Javier Sierra (direttore della rivista "Mas Alla"), ci ha posto all’attenzione un problema estremamente interessante. Quando la mappa di Vinland fece la sua prima apparizione sul palcoscenico mondiale, era il 12 Ottobre del 1958, data commemorativa della scoperta dell’America.
Perché proprio in tale data sarebbe stato reso pubblico questo documento?
Escludendo il puro caso, non possiamo escludere però delle motivazioni politiche. All’interno di tale contesto, forse, possiamo comprendere l’apertura che negli ultimi anni hanno dimostrato diverse istituzioni di fronte a teorie poco ortodosse presentate in proposito.
Lo stesso studio compiuto da Ruggero Marino ha riscontrato l’interesse, nonché il plauso, di diverse istituzioni che studiano l’"affaire" Colombo.


LA STATUETTA DI NAMPA

Nel 1889 a Nampa nell'Idaho, durante i lavori di scavo di un pozzo, a 90 metri di profondità, venne trovata una statuetta di creta, raffigurante una piccola figura umana di forma femminile, questa appartiene all'età plio-pleistocenica, che risale a circa 2 milioni di anni fa, è alta circa 4 centimetri, con una notevole perfezione e vivido realismo riscontrabile nelle parti complete. Chi ha potuto costruirla se non l'homo sapiens-sapiens?.. è  la domanda più scabrosa, ma questi non esisteva a quell'epoca, risponde la scienza ufficiale.


Colonne Metalliche

A Bali (Indonesia) all'interno del Goa Gajah (Caverna dell'Elefante) si trovano queste tre misteriose colonne di metallo. La "Caverna o Tempio dell'Elefante" risale al 700 D.C. Scoperte negli anni '20 del secolo scorso e scavate circa 30 anni più tardi. Rassomigliano a colonne che si trovano nei porti marittimi per fissare le navi da crociera. L'enigma è che tra le città di Ubud e Budulu, dove è situato il tempio....non c'è il mare. Un altro mistero.












Disonauri a Ankor

Siamo a Ta Prohm, un tempio di Angkor, in Cambogia, costruito nello stile Bayon principalmente nel tardo dodicesimo e agli inizi del tredicesimo secolo. È situato approssimativamente ad un chilometro ad est di Angkor Thom, sul bordo beridionale del Baray orientale vicino a Tonle Bati, fu costruito dal re Jayavarman VII come monastero buddista Mahayana e come università. Diversamente dalla maggior parte dei templi di Angkor, Ta Prohm è rimasto nelle stesse condizioni in cui è stato trovato; l'atmosfera creata dalla combinazione di alberi che crescono sulle rovine e la giungla circostante lo hanno reso uno dei templi più popolari di Angkor. In questo tempio affascinante e misterioso, ci sono delle colonne con figure decorative, con raffigurati degli animali. Animali non fantastici, infatti sono raffigurati nella colonna posta tra l'ingresso anteriore e la parete frontale, bufali, cervi, scimmie, pappagalli, scimmie lucertole. Fino qui tutto normale tranne che per un'altra figura di animale, un animale ufficialmente estinto da circa 150 milioni di anni. Stiamo parlando di un "Stegosauro", un rettile vissuto nel periodo Giurassico (Era Mesozoica). Ma a quanto pare questo animale era vivente nel XIII° secolo, nelle lussureggianti giungle della Cambogia. Questo apre scenari sconvolgenti e inaspettati dal punto di vista scientifico. Un'altra conferma di questa scoperta è apparsa su almeno un libro "non sospetto", non addentrati generalmente in tematiche misteriosofiche. Il libro in questione è "Ancient Angkor" (River Books ltd, Bangkok 1999). Una scoperta davvero avvenuta?

Lente ottica

la lente ottica molata rinvenuta in una tomba ad Helwan, in Egitto, e custodita al British Museum.


Dente umano fossile

A Bearcreek, nel Montana, nel 1926 venne trovato in una miniera di carbone un blocco del minerale nel quale era incastrato un dente umano, per la precisione un secondo molare inferiore, interamente fossilizzato, identico al dente di un uomo della nostra epoca. Secondo le stime dei geologi, il carbone della miniera si era formato intorno ai dieci milioni di anni fa.



Astronauta di Kiev

ecco il notissimo "Astronauta di Kiev",così denominato da Peter Kolosimo per l'abbigliamento caratteristico dei cosmonauti o dei palombari.La statuetta è in oro,è dotata di un casco che ricopre interamente il capo,fino al collo,dove si osserva una sorta di 'giuntura';la 'tuta'parrebbe trapuntata,divisa alla vita da una fascia e alle mani indossa dei ...guanti.Viene attribuito alla cultura Sciita (gruppo di tribù nomadi di origine iranica stanziatisi, tra il II ed il I sec. a.C., nella Russia meridionale)






Le sfere misteriose
Chi visita il Costarica le può vedere ovunque, nelle piazze, fra i monumenti, davanti alle ville, nei giardini e anche abbandonate lungo le strade periferiche a sud della capitale San José. Se ne vedono di tutte le grandezze, fino a 2 metri e mezzo di diametro. Solo poche si trovano ancora nell’alloggiamento originale, cioè sprofondate nel terreno o fra la vegetazione.
Le sfere furono scoperte per la prima volta durante il disboscamento della foresta, durante i lavori ne rinvennero a decine, molte nel delta del fiume Diquis, ma anche a Palmar Sur ( la concentrazione maggiore), nel Guanacate. Finora nessuno è stato in grado di stabilire con precisione a quale epoca risalgono, nessuno sa chi le ha scolpite e il motivo di questo notevole lavoro. La sfericità è pressoché perfetta. Il tipo di granito usato proviene da luoghi lontani, la cava più vicina si trovava su monti a 50 chilometri dal delta del Diquis. Se le sfere erano forgiate nella cava non era certo facile controllare la discesa a valle, alcune pesano fino a sedici tonnellate. Non era semplice nemmeno lo spostamento, attraverso luoghi impervi, dei blocchi di pietra di 3 metri di lato dal peso di ventiquattro tonnellate, dai quali si ricavavano le sfere più grandi. Proprio il loro peso nel corso dei secoli ha provocato lo sprofondamento nel terreno dove sono rimaste fino al momento della loro scoperta. Per quanto riguarda il metodo di lavorazione usato, è stato dedotto dagli studiosi, che la pietra veniva sottoposta ad alte temperature e successivamente raffreddata. Questo metodo permetteva la rimozione degli strati esterni, l'ultima levigazione veniva eseguita con sabbia o con cuoio. Di queste sfere ne sono state ritrovate a centinaia, concentrate per lo più nella regione meridionale nei pressi di un paese chiamato Bolas, che non a caso significa "Sfere". Ritrovamenti anche a venti chilometri dalle coste del Costarica nell'isola di Cano, nel Parco Nazionale di Corcovado, un tempo sacra necropoli indiana. Comunque il mistero rimane, non si conosce il motivo di questa lavorazione, non si sa chi furono gli artefici.
Le sfere del Costarica non sono i soli reperti sferici in pietra ritrovati, se ne possono osservare altri, anche se di foggia diversa e non perfettamente sferici, sparsi sulla spiaggia di Moeraki, in Nuova Zelanda. Reperti simili sono stati casualmente dissepolti in Serbia nei pressi di un fiume. Queste sfere hanno un diametro compreso fra i 30 cm e i 3 m. Anticamente nel territorio era presente la cultura Vinca (4.500 a.C.) di cui rimangono rappresentazioni di divinità simili a quelle di Ubaid e Sumere. E’ singolare che le sfere rinvenute in Serbia sembra emettano vibrazioni di natura elettrica, registrate anche dagli apparecchi audiovisivi. Sfere di pietra perfettamente rotonde sono state ritrovate anche nei dintorni della valle delle piramidi. Le sfere Costaricane risalgano sicuramente a tempi molto remoti ma non certi, forse oltre dodicimila anni fa, si suppone che siano i resti di un'antica e avanzata cultura marinara andata persa nel tempo.